Un anno fa io e Francesco partivamo per l’india.
E dopo un anno e con un po’ di malinconia ho deciso di raccontarvi questa esperienza e di inaugurare così una nuova sezione del blog, Zen life, dove condividerò con voi altre esperienze e pratiche trasformative oltre il cibo come i viaggi, lo yoga , la mia ricerca spirituale e tutte quelle esperienze importanti che arricchiscono la mia vita.
Fin da giovanissima sono sempre stata affascinata dall’oriente, dalla sua cultura millenaria, dalla filosofia e l’India in particolare era una delle mete dei miei sogni. L’incontro e il crescente amore per lo yoga non ha fatto che rafforzare questo desiderio.
Così’ quando abbiamo iniziato a pensare ad una meta per il nostro viaggio di nozze io non ho avuto dubbi e ho fatto la mia proposta, che Francesco ha accolto con favore ed entusiasmo.
In men che non si dica abbiamo comprato biglietto e guida e ci siamo messi a progettare e sognare.
Avevamo un mese e poco più a disposizione quindi abbiamo deciso di visitare solo la zona sud dell’India, sulla costa, arrivare a Mumbai, da lì dirigerci verso la zona del Goa e poi scendere giù per la costa.
Nessun programma specifico però, zaino in spalla e soltanto i primi 10 giorni organizzati, il resto l’avremmo deciso sul momento, senza forzature né tabelle di marcia da rispettare.
Partiti da Milano atterriamo all’aeroporto di Mumbai la mattina dell’8 gennaio con pochissime ore di sonno, 12 ore di volo addosso ma felici ed emozionatissimi.
Prendiamo un Taxi che ci porta verso il posto dove avremmo dormito in centro e attraversiamo un bel pezzo di città.
L’impatto non è stato facile, devo ammetterlo: macchine ovunque, il suono dei clacson continuo in sottofondo, l’aria pesante e piena di smog e, a ridosso dell’aeroporto, un’immensa baraccopoli brulicante di persone le une ammassate alle altre.
La cosa che ci ha subito colpito è stato questo, la densità della popolazione, tantissime persone in spazi piccolissimi.
Ma non eravamo né spaventati né preoccupati, cercavamo di guardare tutto con occhi nuovi, consapevoli che avremmo dovuto spogliarci delle strutture occidentali e calarci nella mentalità indiana.
Siamo così arrivati nel posto dove avremmo dormito per un paio di giorni prima di ripartire alla volta del Goa.
Riuscire ad orientarsi però non è stato affatto semplice, dovevamo cambiare i soldi, fare una scheda telefonica indiana e comprare il biglietto del treno che ci avrebbe portato nel Goa. La prima vera difficoltà è stata chiedere informazioni: spesso per strada si incontrano persone che si offrono di aiutarti per cercare invece di venderti di tutto, c’è chi si improvvisa guida turistica, tour operator, chi ti offre cose da bere per convincerti a mangiare al locale dei suoi amici, così Francesco ha bevuto il primo di una lunghissima serie di Chai. L’inglese è parlato diffusamente, ma spesso è un inglese indianizzato. Il loro modo di parlare, la gestualità è totalmente diversa dalla nostra, quindi anche capire cosa ti stessero dicendo a volte non è stato semplice.
Ogni cosa che cercavamo di fare risultava lunghissima e macchinosa ma, in un modo o nell’altro e con gran fatica, riusciamo a fare il biglietto per partire e a cambiare i soldi. Per fare la scheda del telefono abbiamo dovuto trovare un garante indiano che fornisse le sue credenziali e copia di un suo documento, un’impresa titanica in occidente, per poi scoprire in seguito che la scheda in questione avrebbe funzionato solo nella stato del Maharashtra.
Persi nelle mille cose fare siamo riusciti a visitare solo alcuni dei quartieri centrali: quello del Fort, Colaba e qualche mercato. Il nostro desiderio più grande in realtà era di andarcene da quel marasma. Il ricordo che ho di quei primi due giorni è la sensazione di essere stati shakerati in un cocktail di odori, rumori, colori veramente esplosivo.
Prendiamo così il treno all’alba che, in sole 14 ore, ci avrebbe portato nel Goa, a Vagator, la seconda tappa del nostro viaggio, dove io avrei avuto la mia prima settimana di pratica.
Il viaggio vero inizia qui: l’esperienza in treno è stata meravigliosa.
In India il tempo è un concetto relativo, e quindi anche gli orari dei treni: saremmo dovuti partire all’alba invece alla fine siamo partiti intorno alle 9. Le stazioni sono piene di gente che fa le cose più disparate, dorme su dei teli in terra, mangia, legge il giornale, tutti ad aspettare tranquilli.
Il treno è composto da vagoni letto, dove ti danno anche coperte e cuscini, suddiviso in varie classi con o senza aria condizionata. Noi avevamo scelto la classe un po’ più semplice, senza ara condizionata, piena di famiglie indiane e con un’altra coppia di turisti maltesi con i quali abbiamo fatto amicizia!
Sul treno passano in continuazione persone con qualsiasi forma di cibo o bevanda, tanto che il loro annunciarsi è diventata la colonna sonora di tutto il viaggio.
Spostarsi di giorno, vedere tutti quei paesaggi meravigliosi è stato davvero indescrivibile.
Arrivati verso sera alla stazione di Pernem , prediamo un Taxi che ci porta a Vagator.
Ogni cosa è frutto di contrattazione, e ovviamente per noi turisti europei i prezzi tendono sempre ad alzarsi, ma io da subito ho cercato di prendere le misure e di capire quale fosse l’atteggiamento giusto da tenere, mai farsi intimorire 
Arrivati in quella che sarà la nostra casa per la successiva settimana, ci rilassiamo, recuperiamo quello che ci serve, puliamo un po’ in giro e ci riposiamo.
Il giorno successivo esploriamo il villaggio, recuperiamo un motorino per poterci muovere e andare a visitare le zone limitrofe, facciamo la spesa. La casa che abbiamo ci permette di cucinare, così da riuscire a fare almeno la colazione e un pasto cucinato da noi, cosa fondamentale per prendere una pausa da tutto quel riso bianco e soprattutto dalle spezie per poi poter godere più in tranquillità le esperienze culinarie. Piano piano e in punta di piedi entriamo nel ritmo indiano;
L’indomani all’alba mi reco per il primo giorno di una bellissima settimana di pratica presso la Shala di Ashtanga Yoga Goa.
Uscire che il sole non è ancora sorto, camminare per le strade deserte popolate solo dalle mucche, arrivare in questa shala piccola e intima e iniziare a praticare con le luci delle candele, in silenzio, accompagnati dal solo rumore del respiro è stata una magia, credetemi!
Nei giorni a seguire esploriamo il territorio, Anjuna, Chapora, tutti villaggi che vivono per lo più di agricoltura e turismo, in cui si percepisce moltissimo la dominazione portoghese e l’influenza europea e occidentale in genere. Molti templi piccoli ma anche molte chiese e scuole cattoliche, gli uni vicini alle altre. Questa zona del Goa è la meta scelta dai primi Hippie arrivati in India negli anni 60. Infatti molte sono le attività gestite da europei e alcuni esemplari di Hippie dell’epoca si incontrano ancora nei locali.
Iniziamo ad ambientarci e a conoscere i luoghi, a girare in lungo e in largo con il nostro motorino, a suonare il clacson, conosciamo persone e andiamo a visitare anche la zona di Mandrem, dove incontreremo la nostra amica Marina, che vive lì, Novella e Daniele, che invece si godono la loro tanto agognata vacanza. Tutti insieme trascorriamo due bellissimi giorni di festival del Goa SunSplash e altri giorni di mare, visite ad Arambol e giri nella zona, e con i loro preziosi consigli pianifichiamo le tappe successive del viaggio.
La prima tappa dopo il Goa sarà Hampi, una città sacra nell’interno del Karnataka. Da lì poi ci dirigeremo sulla costa del Karnataka a Gokarna, dove io farò la mia seconda settimana di pratica di Ashtanga con Marco, un ragazzo italiano che vive e insegna lì per qualche mese l’anno e poi in giro per il mondo.
Ci siamo così tanto ambientati però che decidiamo di restare altri due giorni ancora e di andare a visitare il mercato di Mapusa, una città vicina.
Mapusa è una città prevalentemente volta al commercio, non è particolarmente bella dal punto di vista architettonico, ma è uno snodo stradale molto importante ed ospita quindi una grande autostazione, da cui infatti partiremo in pullman per Hampi.
Il mercato è grandissimo, c’è una zona coperta e una scoperta, e trovi veramente ogni cosa. In mezzo ad una moltitudine di persone eravamo probabilmente gli unici occidentali. Ci siamo persi tra stoffe, spezie, odori, colori e vociare continuo.
Il nostro viaggio stava prendendo sempre più forma, e ogni giorno che passava il nostro amore per questa terra, nonostante le mille difficoltà affrontate, cresceva sempre di più.
A malincuore ma curiosi della nostra nuova tappa lasciamo il Goa alla volta di Hampi. I viaggi in pullman in india sono sempre un’esperienza singolare e anche il viaggio in pullman verso Hampi sarà difficile da dimenticare.
La maggior parte dei mezzi sono sleeping bus, pullman notturni con cuccette. Le strade indiane sono spesso senza luci e senza segnaletica e loro vanno come i pazzi. Io ovviamente non ho chiuso occhio mentre Francesco russava vicino a me. Gli autogrill erano dei posti assurdi in mezzo al nulla assoluto. Un’esperienza che ha del mistico!!!
Arriviamo ad Hampi il mattino all’alba e veniamo assaliti dagli autisti dei tuk tuk, i classici mezzi di trasporto indiani economici, costituiti per la maggior parte da veicoli a tre ruote simili ai nostri Ape.
Contrattiamo con uno che alla fine ci porta nel posto dove avremmo dormito.
Ci andiamo a fare una doccia e a riposare per poi tornare a visitare la parte dei templi. Hampi è veramente un posto sospeso nel tempo, un villaggio che si trova fra le rovine di un’antica città del XIV secolo, patrimonio UNESCO.
Un luogo mistico e magico posto sulle rive di un fiume dove tutt’intorno trionfa una natura quasi incontaminata.
Ci siamo persi tra le rovine a fare mille foto e mentre facevamo le ultime, proprio nel momento di rientrare, si sgancia il laccio della macchina fotografica che cade a terra battendo l’obiettivo.
Ogni giorno una prova, ho cercato di mantenere la calma e ho controllato quale potesse essere il danno.
Fortuna ha voluto che prima di partire avessi montato una lente protettiva che, sebbene si sia incastrata per l’urto, ha lasciato l’ottica praticamente intatta.
Ad ogni modo l’indomani, invece di continuare il nostro giro nel sito archeologico, abbiamo deciso di andare nella cittadina vicina Hospet per cercare qualcuno che riuscisse ad estrarre il pazzo incastrato.
Hospet è una cittadina poco turistica, dove in genere le persone sono solo di passaggio per andare ad Hampi.
Nonostante tutto la visita è stata piacevole, la cittadina rispetto alle altre visitate in precedenza era molto tranquilla e le persone davvero gentili. Dopo vari giri riusciamo a trovare dei ragazzi che decidono di darci una mano e che, non potendo estrarre il pezzo, hanno però tolto tutti i residui di vetro, pulito l’ottica e messo in sicurezza il laccio. Tutto questo senza voler nulla in cambio se non una foto 🙂
Il giorno a seguire torniamo tra le rovine e andiamo a visitare anche l’altra sponda del fiume, a cui si accede solo attraverso una barchina a motore che trasporta le persone da un lato all’altro dal mattino fino alle 5 del pomeriggio. In quella zona troviamo piccole attività commerciali subito a ridosso del fiume e case vacanza e ostelli per turisti, campi di risaie sterminati, promontori rocciosi, e poco più lontano la giungla. Un paradiso per chi fa arrampicata.
L’ultimo giorno lo dedichiamo ai templi, ci perdiamo tra le cerimonie e le benedizioni, nessun rumore tranne lo scorrere dell’acqua, gli strumenti e i mantra recitati.
Nonostante tutto non riuscivamo a non essere grati per tutto quello che stavamo vivendo, per ogni emozione bella e brutta.
Ogni giorno ci si presentava una nuova sfida con noi stessi, con le nostre strutture, le nostre rigidità ed è stato incredibile vedere quante fossero, e come però riuscivamo ad superarle. In India su vive secondo parametri diversi, con un senso del tempo totalmente diverso, con un modo di affrontare le cose diverso. La sensazione che hai fin da subito è che lì tutto è possibile, gli animali vivono liberi per le strade, in pratica non esiste codice della strada e tutti guidano, macchine e motorini, e ci sono pochissimi incidenti, l’uso del clacson sostituisce spesso la segnaletica.
I sensi sono super sollecitati, almeno per noi occidentali abituati a vivere in un mondo sterilizzato e tutto sommato ordinato, scandito da tempi velocissimi.
Ovviamente non sono tutte rose e fiori, tanti sono i problemi di uno sviluppo economico talmente accelerato, uno su tutti la spazzatura, e nelle grandi città in molti vivono ancora in estrema povertà.
Nei villaggi, dove per lo più si vive di agricoltura e piccolo commercio, anche se spesso le perone vivono in case di argilla, la sussistenza non è un rischio per nessuno e c’è una dignità e una voglia di vivere che a noi non appartiene.
Dopo la meravigliosa Hampi torniamo sulla costa a Gokarna, di nuovo con l’amatissimo autobus, nei giorni che precedevano la festa della repubblica Indiana, festa nazionale, e ovviamente tutti gli indiani per quella ricorrenza si spostano tradizionalmente verso il mare, in più Gokarna è una meta di culto molto importante per gli Induisti, ci sono molti templi alcuni dei quali dedicati al culto di Shiva; noi saremmo arrivati proprio in quei giorni, rischiando di non trovare un posto dove dormire. Così chiediamo a Marco qualche suggerimento e lui molto gentilmente ci prenota un posto in una sorta di villaggio sulla spiaggia vicino alla shala.
Arriviamo la mattina, dopo un altro viaggio della speranza e ci godiamo l’alba sul mare insieme ad un ragazzo indiano e ad una ragazza argentina conosciuti sull’autobus.
Mentre tutto intorno inizia a schiarire ci accorgiamo che non eravamo soli: oltre alle mucche e ai cani, sulla spiaggia spuntavano le sagome di due persone ben coperte, in posizione di loto, che meditavano di fronte al mare aspettando il sorgere del sole.
Gokarna ci ha accolto offrendoci questa atmosfera magica e surreale. Inoltre la struttura che ci ha ospitato si trovava in un bananeto immenso che divideva la spiaggia dai campi coltivati dai contadini che vivono accanto q questi nelle loro abitazioni di paglia. Solo noi, la natura, il rumore del mare e delle foglie di banano se c’èra del vento.
Ci dirigiamo verso la struttura in cui avremmo alloggiato per posare le nostre cose e riposarci un po’. Il proprietario era un signore di mezza età Indiano con la faccia tonda, i baffetti e uno sguardo buono. Gli era rimasta l’ultima casetta nel bananeto, stanze molto spartane nella giungla.
La nostra, essendo l’ultima disponibile, era quella più spartana di tutte, senza finestre, con solo delle fessure coperte da una zanzariera, la porta di legno con una fessura sotto di almeno 7 cm, il bagno di un colore indefinito ed indefinibile e il materasso posato su una lastra di pietra; fortunatamente l’isolamento dal tetto a vista era garantito da una zanzariera posta sul letto.
Sarà stata la stanchezza del viaggio, lo stress e un po’ quello che mi trovavo di fronte, alla fine sono scoppiata in lacrime. Abbiamo poggiato i nostri bagagli e ci siamo incamminati verso il villaggio per capire se ci fosse qualcosa di un po’ più accogliente in cui alloggiare. Recuperiamo il motorino e iniziamo un po’ a girare, ci fermiamo a mangiare in un posto molto carino, con vista a picco sul mare.
Giriamo in lungo e in largo tutta la costa e le spiagge, visitiamo molti posti ma capiamo ben presto che non era rimasto nessun posto se non qualcosa di peggio di quello che ci era capitato. Così torniamo indietro, andiamo a comprare tutto il necessario per pulire, torniamo nella stanza e cerchiamo di fare il possibile per renderla un posto abitabile.
Stremati, stanchi e distrutti andiamo a dormire.
Da questo momento in poi il nostro viaggio è cambiato, perchè siamo cambiati noi. Quell’esperienza ci aveva fatto capire molte cose, capire quanto siamo condizionati. Sforzarsi di vedere le cose da altri punti di vista, mollare e lasciare andare gli schemi, rimboccarsi le maniche invece di abbattersi di fronte ad una piccola difficoltà. E’ stato un momento di grande crescita e di grande insegnamento.
Da lì in poi l’India sarà davvero casa per noi.
Mi sveglio al mattino e attraverso un piccolo tratto di spiaggia per arrivare alla shala creata costruendo una grande tenda nel bananeto a ridosso della spiaggia. Pratico con il suono delle onde e l’odore della natura misto ad incenso.
Ancora una volta il mio cuore è colmo di gratitudine.
E anche se il posto è davvero pienissimo, riusciamo a trovare i nostri angoli di pace e a mangiare in un centro dedicato ai trattamenti e alla cucina Ayurvedica.
Conosciamo lì dei ragazzi Italiani, in giro da qualche mese e intenzionati a starci per circa un anno, in viaggio in lungo e in largo per l’oriente.
Trascorriamo giorni splendidi fino a che una notte Francesco inizia a sentirsi male di stomaco e gli sale la febbre. Mantengo la calma e il mattino seguente cerco un termometro e scopro che insieme a noi alloggiano due signori di mezza età italiani, trasferitisi in india più di 20 anni fa, e che uno dei due era veterinario. Mi da il termometro e due consigli su come agire. Io nel frattempo avevo usato i miei rimedi macrobiotici come la crema di umeboshi per la nausea, e un disinfettante intestinale che mi ero portata dall’Italia. France ha la febbre alta, passa qualche ora e si abbassa; ricomincia a mangiare qualcosa di molto leggero, a bere tanta acqua e a dormire qualche ora. Nella sfortuna abbiamo la fortuna di incontrare Antonella e Ruggero che da quel momento in poi diventano i nostri angeli custodi e con i quali trascorriamo dei bellissimi giorni, incantati dai loro racconti di vita e di esperienze incredibili. France sta meglio ma non si riprende del tutto così decidiamo di andare dal medico del villaggio.
Un’altra esperienza bellissima: una visita lampo finita con antibiotico e antiparassitario da prendere per fugare ogni dubbio.
Fatto sta che Fra dopo qualche ora dall’assunzione dei farmaci sta già decisamente meglio. Nel frattempo, per non farci mancare nulla, sulla strada del ritorno verso il mare inciampo subendo una bella distorsione alla caviglia destra. All’inizio faccio come se non fosse successo nulla, ma con il passare delle ore la gamba un po’ si gonfia e inizia a farmi male.
Mi metto dunque a riposo con Fra ed interrompo, con non poco dispiacere, la mia pratica.
Nei giorni a seguire continuiamo la nostre esplorazione della zona e, sotto consiglio di Marco, andiamo a visitare un Hashram dove parteciperemo anche alla cerimonia del fuoco. Un posto davvero molto bello, gestito da persone di grande cuore, energia e luce che organizzavano moltissimi corsi e attività volotarie sul territorio.
Con loro faremo anche una bellissima meditazione all’alba a picco sul mare.
Io non volevo più andare via ma Francesco ancora un po’ debilitato preferisce partire e iniziare a tornare indietro verso nord, il nostro viaggio era al giro di boa.
Lasciamo Gokarna e decidiamo di andare nella zona di Palolem, per la precisione ad Agonda, in una zona abbastanza turistica sul mare, molto tranuquillq e in cui avevamo deciso di fermarci un po’ di giorni per riprenderci e rilassarci.
La mia gamba nel frattempo migliorava ma non abbastanza, a causa della mancanza di riposo, e non sono riuscita a tornare a praticare.
In compenso ci siamo davvero riposati, spiaggia, sole, mare, buon cibo in tutta la zona, molto frequentata da inglesi, tedeschi e russi, c’erano ristornatini molto carini per tutti gusti e al di sopra della media, puliti e che usavano tutti acqua filtrata. Il nostro posto preferito in assoluto era Zest, un localino tutto all’aperto con cucina Vegana Crudista, un’interessante fusion tra oriente e occidente.
Ci siamo coccolati per questi 10 giorni, girato spiagge e paesini, mangiato e recuperato energie e sonno.
Ma il nostro viaggio volgeva al temine e noi invece saremmo rimasti altrettanto tempo se non di più.
Tornando indietro verso Mumbai decidiamo di tornare a salutare Marina, Daniele e Novella e di trascorrere qualche altro giorno con loro.
Torniamo al mercato di Mapusa a comprare spezie, incensi, le bellissime lunch box indiane, e altre cose come stoffe, piatti, bicchieri e coppette.
Torniamo poi ad Arambol per recuperare dei piccoli regali da portare in italia e ormai lanciata nel mood della contrattazione sfrenata, anche una statua di Buddha e una di Shiva.
Rifare gli zaini con tutte le cose prese è stata un’impresa titanica ma ce l’ho fatta!
Con la tristezza nel cuore salutiamo i nostri amici e lasciamo il Goa alle prime luci dell’alba per tornare con il treno a Mumbai e trascorrere gli ultimi due giorni prima della partenza.
L’impatto con la città è stato totalmente diverso dalla prima volta, ci sentivamo completamente a nostro agio e per niente straniti, e alloggiando in una zona diversa della città abbiamo avuto modo di vederne anche begli aspetti. Abbiamo visitato anche altri mercati, tra cui uno delle stoffe immenso e bellissimo. Erano i giorni che precedevano l’inizio del festeggiamento dello Shivaratri, una delle feste Indù più importanti, dedicata al dio Shiva, e la città era tutta in fermento, le persone correvano a farsi belle e a comprare vestiti nuovi e addobbi e tutto si vestiva a festa.
E’ stato ancora più triste dover partire ma tant’è, era ora di tornare, e mangiato l’ultimo samosa ci incamminiamo verso casa per recuperare le cose e andare all’aeroporto.
Così il 14 di febbraio abbiamo ripreso il volo per tornare in Italia.
Per quanto il viaggio fosse finito l’India era penetrata all’interno dei nostri cuori, prendendo un posto che sarebbe stato sempre e solo suo.
Nonostante le difficoltà, gli imprevisti, le emozioni anche brutte che mi è capitato di provare, ripartirei domani stesso.
Questo viaggio mi ha cambiato in modo profondo e mi ha restituito un senso di libertà e di fiducia nella vita.

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